«Non fermarsi mai, avere sempre un nuovo obiettivo, non avere limiti, poter sperimentare.»
Chi lo conosce bene - e cioè i suoi tre figli - lo descrive come un uomo riservato, con i piedi per terra, di poche parole, che preferisce far parlare i fatti e i risultati della sua vita di imprenditore. Paolo Alessi è il presidente di Alessi Domenico Group. Una vita dedicata al lavoro, all’azienda e alle persone che in questa azienda lavorano. Continuatore della storia di famiglia, ha sempre dato il suo contributo di talento e concretezza nello sviluppo della produzione, creando non solo delle tecniche innovative nelle lavorazioni delle catene ma impegnandosi anche nella ricerca dei metodi e delle soluzioni tecnologiche per produrre catene che abbiano il massimo della qualità.
Una persona estremamente creativa, con una capacità di interpretare i momenti del mercato e del business che gli ha consentito di essere sempre un passo avanti, vivendo il presente ma pianificando anche il futuro. Questa attitudine a guardare oltre lo ha portato ad investire sul passaggio generazionale alla guida dell’azienda, che dagli anni 2000 è condotta dai suoi tre figli Filippo, Alice e Tobia. Oggi Paolo Alessi è il “capitano” al timone di una nave saldamente in viaggio sulla rotta tracciata dalla nuova generazione Alessi.
Paolo Alessi, cosa rappresenta per lei la Alessi Domenico?
«È difficile esprimere a parole il sentimento di amore che ho avuto, che ho e che avrò sempre per questa azienda. Non ho mai avuto paura a tirarmi su le maniche, a lavorare senza sosta e a questa azienda ho dedicato la mia vita. Ci sono entrato da ragazzino, avevo appena 15 anni. Ho mosso i miei primi passi in quello che era il laboratorio di mio nonno Domenico a Bassano del Grappa, affiancando nel lavoro mio padre Giovanni. Sin da giovanissimo sono stato attratto dall’arte dell’oreficeria e anche se ero alle prime armi mi piaceva impegnarmi, da un punto di vista anche manuale, nella scoperta di lavorazioni e nella ricerca di nuove componenti per sviluppare nuovi prodotti. Un po’ come fa oggi mio figlio Tobia. Così ho iniziato il mio percorso. Diciamo che quello che oggi si chiama “Ricerca e Sviluppo” è sempre stato un mio pallino e ho sempre cercato di contribuire all’evoluzione tecnica della nostra produzione.»
Poi la storia com’è continuata?
«Poi è successo che dopo la morte di mio nonno, mio padre, Giovanni, ha aperto nel 1969 un suo laboratorio, dando il via alla trasformazione di Alessi Domenico da bottega ad azienda. Io l’ho seguito per aiutarlo in questo nuovo progetto. Ho cominciato a dedicare più tempo al lavoro, anzi a dedicare tutto me stesso. Arrivavo a lavorare anche dalla mattina alle 6 fino alle 10 della sera. Ma la cosa non mi pesava, perché mi piaceva. Lavorava con noi anche mio fratello maggiore Nico ovvero Domenico, a cui è stato dato lo stesso nome del nonno, e da lì è iniziato lo sviluppo di questo laboratorio che stava diventando già una fabbrica. Avevamo già molti collaboratori, dialogavamo con i mercati internazionali e potevamo disporre della migliore tecnologia dell’epoca, che poteva soddisfare un già cospicuo patrimonio di clienti. Nel 1980 l’azienda si è spostata a Fellette, diventando una fabbrica vera e propria.»
Erano gli “anni d’oro” dell’oreficeria, vero?
«Sì, gli anni Ottanta sono stati un grande decennio per la nostra azienda. Io e i miei fratelli, assieme a mia mamma Bruna, siamo stati accanto al papà nella conduzione di uno stabilimento che continuava a crescere nel volume di affari ma anche nelle sfide con la concorrenza, con le richieste che diventavano sempre più numerose da tutto il mondo. La nostra impresa famigliare ha investito tantissimo nei macchinari e io personalmente ero impegnato in particolare nel cercare sempre nuovi metodi per produrre. Orami il mercato stava diventando sempre più grande e c’era quindi bisogno di trovare nuove tecniche per produrre più quantità. Poi sono arrivati gli anni Novanta, che hanno rappresentato il vertice della crescita. Nel 1991 abbiamo inaugurato lo stabilimento di quartiere Prè a Bassano del Grappa, in quella che ancora oggi è la nostra sede. Ho sempre continuato ad investire sulla Ricerca e Sviluppo, sul fatto di cercare macchinari, impianti e nuove tecnologie che supportassero le quantità di produzione che ormai erano esplose. Una storia che è continuata e che continua ancora, con l’azienda che oggi è condotta dai miei tre figli.»
Non sono sempre stati rose e fiori...
«No di certo. Ci sono stati momenti difficili e congiunture sfavorevoli. Ma non mi sono mai lasciato scoraggiare dagli alti e bassi che questo settore ha subito e ho cercato anzi di affrontare ogni situazione con lo spirito giusto. Ho cercato di farlo non solo come imprenditore, ma anche nella vita.»
Lei ha voluto investire sul passaggio generazionale nella conduzione dell’azienda...
«Ho sempre pensato che fosse importante costruire il futuro dell’azienda, garantendo la continuità di una lunga e importante storia familiare. Ho voluto puntare sul cambio generazionale e questa non è una cosa scontata. La fortuna ha voluto che tutti e tre i miei figli si sentano “a casa” in Alessi Domenico e che l’abbiano sempre sentita come una cosa loro. Il primo ad entrare è stato Filippo, giovanissimo come ero io ai miei inizi, che ha fatto la gavetta in tutti i reparti di produzione. Poi sono entrati Alice e Tobia. Sono tutti cresciuti in azienda, hanno compreso la complessità di tutti gli aspetti che vanno dall’organizzazione, alla produzione, alla ricerca e sviluppo, alla gestione finanziaria, all’evoluzione del mercato. Tutti e tre, negli anni, hanno maturato le competenze per poter fare il “grande passo”. Il passaggio generazionale alla guida dell’azienda è avvenuto nel momento giusto e ora, come si suol dire, largo ai giovani.»
Cosa pensa di avere insegnato ai suoi figli?
«Non lo so, questo deve chiederlo a loro. Da parte mia io ho sempre cercato di dare l’esempio, per loro che hanno scelto di camminare sui miei passi. Ho cercato di far capire loro l’importanza di lavorare sodo senza grilli per la testa, di essere persone concrete, umili e impegnate. Ho voluto che imparassero a non avere paura di uscire dalle loro “comfort zone”, cercando di misurarsi come persone. Li ho spronati a non fermarsi mai, avere sempre un nuovo obiettivo, non avere limiti, poter sperimentare. E ho sempre detto ai miei figli di avere comunque fiducia nella vita sapendo che quello che arriva in qualche modo è un’opportunità per la nostra evoluzione, sia a livello personale che lavorativo.»
Lei dice di aver fatto capire ai suoi figli l’importanza di essere “persone umili”. Pensa che sia una qualità davvero necessaria per chi fa un lavoro come il suo?
«Certamente. Per me l’umiltà è un valore ed è un valore che fa parte di me.»